Aglio: odi et amo. Forse la seconda un po’ di più

Ci sono simpatie e antipatie che abbiamo fin dall’infanzia e che siamo convinti porteremo avanti per sempre. Affezioni e idiosincrasie, passioni e ossessioni che crediamo essere perfettamente motivati e che poi, in un momento qualsiasi, ci rendiamo conto non esserlo affatto, anzi. Metti il ballo. Durante la mia pre-adolescenza mi ero convinta che odiassi ballare. Non ballavo in discoteca, non ballavo alle feste, non ballavo nemmeno da sola, tanto ero convinta che non facesse per me, che fossi negata per qualsiasi attività danzante e soprattutto che fosse una faccenda noiosa, ridicola e oltremodo faticosa. Poi un giorno – non ricordo quando né come né perché – ho ballato. E ho scoperto che adoravo ballare. E che mi riusciva pure bene. La stessa cosa si può dire mi sia successa per l’aglio.

Io l’aglio non lo sopporto proprio, dicevo a tutti. Per lavoro mi trovavo a viaggiare tanto e mangiare ancora di più e ovviamente l’aglio mi si presentava a ogni angolo di strada, a ogni nuova tavola, a ogni “assaggia questo” che si tramutava in notti insonni e digestioni di 48 ore. Perché il mio problema con l’aglio era quello: non lo digerivo. Quel buonissimo hummus che avevo spalmato a secchiate sul pane a Istanbul mi si riproponeva fino al momento di prendere l’aereo per il ritorno. Lo tzatziki, non stiamo nemmeno a parlarne, lo tzatziki non riuscivo proprio a mangiarlo. E così via. Mi bastava sentire il sapore dell’aglio per pensare oh no, questo piatto non me lo dimenticherò per un bel po’ di tempo.

Poi è successo che è scoppiata una pandemia globale che mi ha portato a passare più tempo in casa e durante la quale sono anche andata a vivere con il mio compagno. Incidentalmente, il mio compagno adora l’aglio. E la cipolla. Prima di quel momento non aveva quasi mai cucinato per me: noi eravamo sempre troppo di corsa, l’alternativa del ristorante sempre troppo irresistibile. Ma durante i due mesi del lockdown si è messo a cucinare tantissimo e a sperimentare ricette di sua invenzione, che ovviamente contenevano quantità invereconde d’aglio. Ricordo bene la prima volta che mi ha proposto di cucinare una pasta “davvero buona che però, ti avverto, potrebbe risultare un po’ forte per te.” Mi ero preparata al peggio. Poi ho sentito un odore delizioso salire dalla cucina. Conturbante. Inebriante. Irresistibile. E non ho avuto bisogno di chiederglielo per capirlo: quell’odore era il soffritto con tanto, tanto aglio. La pasta era buonissima e l’ho digerita splendidamente.

Da lì in poi le sperimentazioni con l’aglio sono proseguite. Qualsiasi soffritto, prima mai contemplato, poteva contenerlo. Lo mettevamo a spicchi in mezzo alle patate al forno. Lo usavamo per insaporire l’olio. Ho perfino mangiato la pasta aglio olio e peperoncino e ne ho adorato ogni boccone. Certo, capita ancora di capire che oh!, forse ho un po’ esagerato con le dosi, mi sa che questo sapore me lo devo tenere fino a domattina. Ma sempre più raramente. L’aglio è un amico. L’aglio è un compagno fedele. L’aglio rende interessante il piatto più sciapo, appassionante la cena più noiosa. L’aglio è fondamentale – ed è fondamentale comprarlo buono. Qual è la morale di questa storia? Non lo so.


Ma so che dal giorno di quella famosa pasta – aglio pomodoro e acciughe se vi interessa saperlo – l’aglio nel mio frigorifero non manca mai. Non tutto l’aglio viene per nuocere, anzi, la maggior parte viene per fare del bene. Dategli una possibilità e dimenticate il vostro passato burrascoso: forse non era aglio buono, forse era proprio la ricetta a non essere buona. O forse i vostri pregiudizi vi influenzavano al punto da modificarne il sapore. Mettete quella treccia d’aglio nel vostro carrello e non voltatevi indietro.

Questo articolo fa parte della nostra collaborazione con il Consorzio dell’Aglio Bianco Polesano DOP. Vuoi saperne di più sull’aglio? Clicca qui.

Giorgia Cannarella

Bolognese per nascita e per scelta, vincitrice del premio miglior food writer per Identità Golose, scrive di cibo e tutto quello che gli ruota intorno