Quando si parla di cibo, oggi, non si parla mai “solo” di cibo. Le scelte che facciamo a tavola — cosa mangiamo, cosa evitiamo, cosa pubblichiamo su Instagram dopo un brunch — sono una lente potentissima per leggere il nostro tempo. Ed è proprio questo il cuore di Siamo ciò che mangiamo? Nutrire il corpo e la mente, il nuovo libro collettivo edito da Utet nato nell’ambito dell’edizione 2024 dei Dialoghi di Pistoia, festival che ogni anno mette a tema le grandi questioni culturali contemporanee.
Curato da Giulia Cogoli, il volume indaga il nostro rapporto con il cibo come specchio di gusti, ideologie, rituali, e visioni del futuro. Tra i contributi più potenti c’è quello di Massimo Montanari, professore emerito dell’Università di Bologna e tra i più importanti storici dell’alimentazione a livello internazionale, che ci porta a riflettere su una delle scelte alimentari più discusse del nostro tempo: il vegetarianismo.

Vegetariani per caso? No: per cultura
Il professor Montanari, nel volume edito da Utet, propone una riflessione tanto storica quanto profondamente culturale sul vegetarianismo, inteso come costruzione sociale prima ancora che pratica alimentare. Il testo si apre con un’affermazione per comprendere il tema dell’intero volume. Scrive Montanari:
“L’antropologo Francesco Remotti definisce ‘cultura’ ogni tipo di comportamento e di pratica che si sceglie di fare, non essendo geneticamente determinata. Se il leone è carnivoro, e la mucca vegetariana, non è per scelta ma perché sono fatti così; l’uomo invece, essendo onnivoro, può decidere. Nasce così il ‘paradosso dell’onnivoro’, ben messo a fuoco da Claude Fischler: l’uomo può mangiare di tutto e proprio per questo non mangia tutto, ma (appunto) sceglie.”
È da questa libertà di scelta che si sviluppa il cuore della riflessione di Montanari: la dieta non è mai solo una questione biologica, ma il risultato di secoli di cultura, miti, religioni, modelli economici e scelte morali.
Per capirne di più, a pochi giorni dall’edizione 2025 dei Dialoghi di Pistoia, abbiamo rivolto tre domande al prof. Montanari. Spoiler: la risposta più sorprendente è quella finale.
Intervista a Massimo Montanari
Su “Siamo ciò che mangiamo?” cita il “paradosso dell’onnivoro”: la libertà di scelta ci obbliga a scegliere. Secondo lei quanto pesa oggi il fattore “etico” nella costruzione dell’identità alimentare, rispetto a quello salutista o simbolico?
Sono suggestioni tutte molto importanti. Il fattore salutista (che ha come focus il soggetto mangiante) è fondamentale nella cultura contemporanea. Ma altrettanto importante è il fattore etico, nella duplice declinazione del rispetto dell’animale e del rispetto dell’ambiente. Tutto ciò può assumere valori simbolici, identitari, rispetto all’essere e a mostrarsi in un certo modo. Ma sono tutti valori che coesistono e si intrecciano fra loro.
Cosa l’ha più colpita, nel tempo, studiando le antiche culture vegetariane o ascetiche? C’è un episodio storico, un autore o un accadimento che le è rimasto in mente più di altri?
Come medievista, sono stato sempre colpito dalla cosiddetta “prova del pollo”, quando gli inquisitori ecclesiastici cercavano di far confessare gli “eretici” catari, e se quelli resistevano calavano la prova del nove: ecco un pollo, uccidetelo e mangiatelo. Se rifiutavano di farlo dimostravano la loro appartenenza a un credo religioso ossessionato dall’idea della purezza e rigorosamente vegetariano. Era un’epoca, il Medioevo, in cui essere vegetariani per rispetto della vita animale era proibito dalla cultura dominante, quella cristiana.
Era un’epoca, il Medioevo, in cui essere vegetariani per rispetto della vita animale era proibito dalla cultura dominante, quella cristiana.
Possiamo chiederle se la sua attenzione per il vegetarianismo come scelta culturale e storica nasce anche da una scelta vissuta in prima persona?
No. Nasce come curiosità culturale per un tipo di scelta alimentare che si definisce per la particolare consapevolezza, per la coerenza della scelta. Cioè per il fatto di enfatizzare l’idea che gli uomini scelgono come comportarsi. Per quanto riguarda me, non sono mai stato vegetariano anche se devo dire che ultimamente la mia attenzione al mondo vegetale si è accentuato molto. Probabilmente esiste un rapporto con quello che studio, ma in senso inverso: non studio la cultura vegetariana perché io sia vegetariano, ma studiarla mi ha avvicinato a quel pensiero e chissà, domani vedremo che succede.
Come ha detto la curatrice Giulia Cogoli in un’intervista a ll Gusto, oggi “non basta che qualcosa sia commestibile. La scelta del cibo è indicativa di gusti, ideologie, mode e persino di prospettive sul futuro”. E noi aggiungiamo: è anche un modo per raccontare chi siamo, chi vogliamo essere e — perché no — il mondo in cui vorremmo vivere.