Filetto di cervo. Piccione grigliato. Pancia di maialino. Capasanta gratinata. Ravioli di vitello. Sgombro marinato. Animella alla brace.
Chi frequenta, per piacere o per lavoro, ristoranti stellati o comunque con velleità gourmet, sa che aprendo un menu la maggior parte dei piatti che si troverà davanti, siano essi antipasti, primi o secondi, conterrà carne, pesce o entrambi. I piatti vegetariani in carta saranno al massimo un un paio – se escludiamo i dolci, e nemmeno sempre – e chi segue un’alimentazione vegetale, e lo comunica in cucina, si vede spesso servire piatti “in sottrazione”, a cui è stata tolta la proteina animale, ma che sono palesemente sono stati costruiti senza una ratio.
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Perché gli italiani hanno paura del vegetale?
Eppure alcuni dei piatti più iconici dei più famosi chef italiani sono completamente vegetariani. Pensiamo agli Spaghetti cipollotto e peperoncino de Il Luogo di Aimo e Nadia, alle 5 stagionature di Parmigiano di Massimo Bottura, all’Insalata russa di Carlo Cracco. E in effetti il vegetale è una parte imprescindibile anche della cucina tradizionale italiana, il cui nerbo, almeno nella sua parte mediterranea, sono ingredienti addirittura vegani come pomodoro, pane e pasta.
E allora perché nel nostro paese il carré di agnello o la capasanta – o qualsiasi altra cosa sia di moda in quel momento, visto che è innegabile che i momenti di diversi tipi di carne e pesce si alternino, e a volte sembra che tutte le carte contengano uno sgombro marinato o una faraona arrosto – sembrano essere parti imprescindibili di ogni menu degustazione che rispetti? Perché in Italia l’unico ristorante stellato completamente vegetariano è rimasto il Joia di Pietro Leemann a Milano?
L’esempio scandinavo
La Guida Michelin è una guida francese. Ed è indubbio che gli stilemi dell’alta ristorazione in Italia vengano ancora in buona parte mutuati dalla Francia. La necessità di inserire ingredienti di lusso come foie gras, caviale, ostriche; preparazioni spettacolari come la “canard à la presse”, l’anatra alla pressa; e in generale la predominanza dell’animale in menu, che sia ingrediente principale o secondario, come i fondi di carne. Eppure proprio in Francia le cose hanno cominciato a cambiare.
Quest’anno in Francia il ristorante ONA della chef Claire Vallée ha fatto storia conquistando una stella Michelin con un menu completamente vegano. E proprio l’Arpège, uno dei più famosi ristoranti francesi, è riuscito a mantenere le tre stelle Michelin nonostante, ormai vent’anni fa, lo chef Alain Passard abbia stravolto il menu in chiave vegetariana (in seguito ha poi reintrodotto carne e pesce). Insomma, anche nella patria dei grassi animali saturi le cose stanno cambiando.
Nel Nord Europa il concetto di cucina vegetale è molto più assimilato nella ristorazione, non sono a livelli più “bassi”, ma anche a livelli altissimi. Basti pensare che il Noma per alcuni mesi all’anno mantiene solo un menu completamente vegetariano e in generale in tutti i ristoranti stellati ci sono molte più opzioni di piatti, o di menu, vegetariani. E questo in climi in cui è molto più difficile che da noi reperire tutto l’anno un’ampia varietà di frutta e verdura.
Bello, buono, vegetariano
La maggior parte dei ristoranti stellati italiani manifesta ancora reticenza a cambiare l’impostazione del proprio menu e dei propri piatti, che sembrano ancora ruotare in maniera irremovibile intorno al concetto di “carne” o di “pesce”. Eppure nel 2021 i motivi per provare a spostare un po’ la propria mentalità sarebbero innumerevoli.
Ormai conosciamo tutti gli innumerevoli benefici, per l’ambiente e per la nostra salute, di incorporare più vegetali nella nostra dieta e diminuire le proteine animali. Ma al ristorante si va per godere!, direte voi, non per salvare il mondo. Beh, non c’è bisogno di cinghiali e astici per godere. Piatti come il Risotto allo zafferano, liquirizia e carciofi dei fratelli Alajmo o il Cavolfiore gratinato di Niko Romito sono la prova che fare una grande cucina vegetale è possibile. Basta solo volerlo.