Melone Mantovano Igp: non è solo una questione di dolcezza

Articolo in collaborazione con il Consorzio del Melone Mantovano Igp

“Al naso si apre su note di funghi e sottobosco, per virare poco dopo verso sfumature di anguria, tiglio e delicati tocchi erbacei. Al palato ha succosità e ottima consistenza, con un perfetto equilibrio tra dolcezza e sapidità e una persistenza importante, che richiama le note olfattive e, soprattutto, invoglia ad un nuovo assaggio”.

 

Non è la descrizione di un vino di un sommelier al quale abbiamo chiesto lumi circa una bottiglia adocchiata nella carta dei vini di un ristorante, ma la risposta ad una domanda che può sembrare banale e scontata, ma evidentemente non lo è. Ma di cosa sa un melone? Anzi, un Melone Mantovano Igp?

 

A fornircela è Mauro Aguzzi, produttore e presidente del Consorzio che tutela la produzione di questa eccellenza incastrata tra le province di Mantova, Cremona, Modena, Ferrara e Bologna.
Se gli chiedi se sia possibile distinguere realmente le sfumature di un melone gli si illuminano gli occhi. Che sono quelli di chi vive tutti i giorni in mezzo a questa antica coltivazione, ma soprattutto quelli di un vero appassionato che non sembra aspettare altro che gli vengano rivolte domande di questo tipo.

«L’aspetto che distingue un melone buono da uno solo dolce è l’insieme delle sue caratteristiche, dei sapori che percepisci mentre lo mangi. E l’Igp ha diversi aromi e profumi che nei meloni di nuova generazione, che durano sempre di più ma hanno meno gusto, non ci sono più. È una questione di varietà, di tecnica colturale portata avanti dall’uomo e di territorio». 

Una triade che nel vino prende il nome francese, intraducibile nella nostra lingua, di terroir, ed è quasi sempre fonte di ispirazione per descrizioni poetiche e coinvolgenti dei territori dove nasce il nettare di Bacco. Narrazioni che, invece, è spesso difficile trovare nel caso di altre produzioni della terra, come quella del melone, affossate sempre e solo sotto i colpi di fattori, certamente importanti ma meno coinvolgenti, che prendono il nome di “shelf-life” e “prezzo”.

 

«Qui c’è una grande professionalità intorno a questa coltura, ma queste terre, a parità di dolcezza, sono fondamentali per dare gli aromi che poi si sentono al naso e al palato quando mangiamo una fetta di melone».

 

Per Francesca Nadalini, produttrice e anima di tutto ciò che ruota intorno alla comunicazione del Consorzio, il segreto del Melone Mantovano Igp risiede proprio nel terroir. Al netto delle tantissime variabili che intervengono in questa complessa coltura – varietà coltivate, epoche di trapianto, coltivazione in serra o a pieno campo etc. – la composizione del terreno è, per esempio, tutt’altro che secondaria. «Argilla, limo e sabbia: tre elementi fondamentali, presenti in queste terre in percentuali differenti, ma che sono responsabili degli aromi». 

 

 

Dall’alto mantovano, dove i terreni sono più sciolti e la vicinanza del lago di Garda fa sì che la ventilazione sia maggiore e la coltivazione a pieno campo possibile anche ad agosto, passando per la storica Viadana e ancora giù fino a Sermide dove l’umidità è maggiore, si sviluppa un territorio che ha nella presenza del Po il suo comun denominatore, ma, come spesso capita nei grandi terroir, ha anche al suo interno una certa eterogeneità dovuta alla composizione dei terreni e alla presenza di microclimi differenti. Il tutto consente di ottenere diversità e sfumature che poi confluiscono sotto l’unico cappello dell’Igp. E non a caso le testimonianze storiche circa la vocazionalità di queste terre per la coltivazione del melone risalgono alla fine del Quattrocento del secolo scorso.

 

 

Una diversità che trova forma e sostanza non solo nelle tipologie in commercio – retato, con e senza fetta, e liscio – ma anche a tavola. Il voler andare oltre il classico matrimonio con il prosciutto è da alcuni anni uno degli obiettivi dei produttori del Consorzio che stanno facendo di tutto per diffondere la conoscenza del territorio di origine e la versatilità del melone mantovano a tavola.

 

«Ogni cliente ha il suo melone» dicono da queste parti, e al tempo stesso moltissime preparazioni possono accogliere al loro interno quel tocco di carattere che il melone di queste terre sa dare, tanto da andare a comporre un intero e completo menu, dall’inizio alla fine.

 

Alessandro Franceschini

Giornalista free-lance, milanese, scrive di vino, ortofrutta e grande distribuzione, non in quest'ordine. Dirige il sito e la rivista dell'Associazione Italiana Sommelier della Lombardia, direttore del magazine www.myfruit.it, è docente in vari Master della Scuola di Comunicazione dell'università Iulm di Milano, è uno dei curatori della fiera Autochtona e collabora con testate come l'Informatore Agrario, Spirito diVino e le pagine GazzaGolosa della Gazzetta dello Sport. In passato, oltre ad aver diretto la redazione di Lavinium.com, ha collaborato con la guida ai ristoranti del Touring Club e con la guida ai vini de L'Espresso. È stato uno degli autori dell'Enciclopedia del Vino di Dalai Editore, del volume "Vini e Vignaioli d'Italia" del Corriere della Sera e del libro "Il vino naturale. I numeri, gli intenti e altri racconti" edito dalla cooperativa Versanti.