Che fine fanno i nostri rifiuti organici?

Oggi essere sostenibili sembra quasi semplice. Le alternative di consumo green fioccano e scegliere cosa mangiare, come vestirci, come spostarci negli spazi urbani e cosa acquistare è sempre più facile.

 

Tutto bello e tutto easy, basta un clic, ci rimorchi pure se dici che hai comprato uno spazzolino di bambù e i tempi in cui non potevamo comprare lo shampoo solido su Amazon sembrano davvero lontani. Ma la sostenibilità non è un bianco e nero, è una scala di grigi. Sono le sfumature a darci la prospettiva per osservare la portata del dibattito sulla questione ambientale. Capire che è una questione di equilibri è fondamentale per riuscire a calare le nostre azioni dal piano dei bei discorsi a quello della prassi. 

Dove finiscono i rifiuti organici? 

Tutto ha inizio da una buccia di banana buttata nel bidone dei rifiuti organici. La guardo e penso: che fine farà? Non riesco a darmi una risposta e mi incastro.

Quando gettiamo degli scarti alimentari nel bidone dell’organico la nostra interazione diretta con l’alimento si esaurisce (anche se ci sono casi in cui è possibile recuperare le bucce). Non ci sentiamo più responsabili di cosa gli succederà. Intere frazioni del vivere collettivo, salvo che per il blando tramite della delega politica, escludono del tutto la cittadinanza dalla possibilità di concorrere al loro indirizzo. 

Così il resto è stato Google, Wikipedia, persone a cui ho chiesto di spiegarmi cose che non capivo e una redazione che ha avuto la pazienza di aspettare dei tempi insensatamente lunghi. Torniamo alla buccia di banana. Questa, una volta gettata tra i rifiuti organici, ha due strade possibili davanti a sé: può diventare compost o può diventare bio-metano. Mi sono chiesto se tra le due opzioni una fosse migliore dell’altra, meno inquinante. Ma niente da fare. Nessuna bacchetta magica e nessuna soluzione ottimale, solo la consapevolezza che dietro tutta questa faccenda c’è una coperta troppo corta; e che per quanto tiri da una parte per coprirti le spalle, un piede t’esce tutte le volte. Capiamo perché la gestione di questi rifiuti impatta sull’atmosfera.

Semplificando all’osso il discorso diciamo che a creare dei problemi per l’ambiente è proprio l’elemento che caratterizza tutto quello che noi definiamo come organico: il carbonio. Carbonio che, al degradare del sistema in cui è contenuto, se ne va sotto forma di composti volatili che contribuiscono all’aumento di temperatura della nostra atmosfera (anidride carbonica, ammoniaca, metano, etc.). Gestire questi processi significa agire su questo aumento di temperatura.

Per recuperare qualcosa di utile dallo scarto organico si costruiscono impianti dove poter realizzare delle grandi fermentazioni controllate. Alcune sono fatte in ambiente aerobico (all’aperto) e portano alla formazione del compost; altre sono fatte in situazioni di anaerobiosi e da queste si estrae metano e digestato (che è quello che rimane una volta tolto il metano, un concime); altre ancora seguono un modello ibrido dove entrambi i processi si mischiano tra loro. Funziona un po’ come la panificazione o la vinificazione: c’è una materia di partenza, ad esempio del mosto d’uva, arrivano dei microrganismi, questi si mettono a gozzovigliare in mezzo a dei composti che possono “mangiare” e quando hanno finito di fare festa ecco che abbiamo il vino, una materia con una composizione nuova rispetto a quella che aveva in partenza. Diciamo che più o meno funzionerà così anche per i cornicioni della pizza che non avete voluto mangiare ieri sera.

Pro e contro nella produzione di compost

La prima perplessità sul compost è il tempo necessario per completarne il processo: ci vogliono mesi. Di contro i processi di digestione anaerobica si svolgono in pochi giorni.
Altra problematica da affrontare è la mancata gestione del metano che i microrganismi coinvolti nei processi aerobici producono “naturalmente” nel loro ciclo di vita. Questi processi si svolgono all’esterno e quindi il metano prodotto è destinato a finire tutto in atmosfera – e vale la pena di ricordare come l’impatto di questo gas sull’effetto serra sia di circa una ventina di volte superiore rispetto a quello dell’anidride carbonica.

Ma allora cos’ha di bello il compost? Semplice: oltre ad essere utile per una buona agricoltura, fare compost significa anche allungare i tempi in cui il carbonio contenuto al suo interno finisce nell’aria. Usando una terminologia impropria potremmo dire che facendo compost stocchiamo masse di carbonio. La mineralizzazione del compost (periodo di tempo necessario perché il carbonio presente nella sostanza organica finisca in atmosfera sotto forma di composti gassosi) avviene in tempi lunghi. In aria ci finisce, ma con molta calma, e una differenza di tempo non è poca cosa visti i tempi che corrono.

Pro e contro nella produzione di bio-metano

Il contro più pesante a mio parere è il mancato stoccaggio del carbonio. Quando bruciamo una molecola di metano questa reagisce con due molecole di ossigeno (O2) per formare una molecola di anidride carbonica e due di acqua (CH4+202-> 2H2O+CO2) e tutto il carbonio, fatto salvo quello rimasto nel digestato, ecco che finisce in atmosfera.

Secondo il rapporto rifiuti urbani del 2020 dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) la frazione dei rifiuti organici dei rifiuti destinati al riciclaggio sfiora il 40% del totale. Nel decennio 2010-2019 l’attenzione alla differenziazione di questi rifiuti è aumentata in maniera verticale (+56,6%) passando da poco più di cinque milioni di tonnellate di rifiuti trattati nel 2010 ai quasi otto del 2019. Motore di questa crescita è il trend positivo che possiamo osservare nel ricorso ai trattamenti misti aerobici/anaerobici, giudicati come più efficienti e più sostenibili. Nel periodo compreso tra il 2015 e il 2019 la quantità di rifiuti gestiti in questi circuiti ha registrato un +81,1% arrivando ad interessare quasi tre milioni di tonnellate di rifiuti. Un problema collegato a questo aspetto è la non capillarità degli impianti di questo tipo sul territorio nazionale e la conseguente necessità di spostare grandi volumi di rifiuti.

Non c’è una conclusione. Non c’è una cosa migliore da fare. Possiamo ridurre i consumi, possiamo spendere i nostri soldi in circuiti virtuosi, possiamo capire quanto tutto sia interconnesso. La prossima volta provo a buttarla dentro qualche ricetta quella buccia di banana. Chissà che non ne venga fuori qualcosa di buono.