Perché la frutta giapponese è così cara (ma anche così buona)

La prima cosa da sapere sulla frutta giapponese tradizionale è che ha dei prezzi folli. E non intendo qui in Italia, ma proprio in Giappone, nei mercati e nei centri commerciali nipponici. Il motivo principale è la mancanza di spazio. La superficie destinata alla coltivazione di frutta (e verdura) è piuttosto limitata perché le piantagioni di riso occupano la maggior parte delle zone rurali.

Così i frutticultori moderni hanno fatto di necessità virtù, specializzandosi nelle varietà cosiddette deluxe che sono sì deliziose, ma anche piuttosto care. Stesso discorso non vale allo stesso modo per le verdure giapponesi.

Frutta Giapponese: un bene di lusso

In campagna tutte le operazioni vengono eseguite dall’uomo, senza l’utilizzo di macchinari, e c’è una cura maniacale per ogni singola pianta, che viene potata senza badare a scarti per ridurne drasticamente il potenziale produttivo. In questo modo i pochi germogli selezionati possono concentrare per sé tutto il nutrimento e dare vita a frutti succosi e maturi. In una parola: perfetti. Il culto della forma, in Giappone, riguarda anche la frutta.

Altra cosa da sapere sulla frutta giapponese: non viene venduta al kilo, ma a frutto (tanto hanno tutti la stessa dimensione e lo stesso peso) che viene incartato e impacchettato come si farebbe con dei cioccolatini. Di fatto la frutta giapponese è un bene di lusso, una specie di status symbol. Quando siamo invitati a cena noi regaliamo una bottiglia di vino, mentre i giapponesi si presentano con un cestino di frutta ben composto. Di più: è facile trovarla anche scorrendo le voci delle liste di nozze.

La pianta dell’Ume – Foto Jelleke Vanooteghem

Ume, la prugna made in Japan

L’albero dell’Ume è il primo a fiorire, regalando un anticipo di primavera già tra la metà e la fine di gennaio. Proprio come il sakura (il ciliegio), l’ume è molto amato dai giapponesi per la sua leggiadra bellezza, che riecheggia nella cultura nazionale attraverso poesie, canzoni e danze popolari. Quanto al frutto, è simile alla nostra susina, ma di colore verdastro e decisamente più aspro. La sua astringenza lo rende inadatto a essere consumato fresco. Dalla sua trasformazione nascono il celebre Umeboshi, un condimento che può essere assimilato alla salamoia, e l’Umeshu, un liquore da fine pasto, dolce e aromatico.

Il caco essiccato Hoshigaki

A dire il vero, tra i nostri cachi e quelli nipponici non c’è una grande differenza né a livello di forma né di gusto. Ma in Giappone è molto diffusa una pratica che da noi manca: l’Hoshigaki, ovvero l’essiccazione. Per chi ama questo frutto, la ricetta dei cachi essiccati è una vera e propria scoperta rivoluzionaria (quanto a bontà) nonché una soluzione definitiva per evitare sprechi. Se avete un albero di cachi in giardino o nella casa in campagna, non aspettate oltre. Per la ricetta e i trucchi del caso potete affidarvi a Sandra Salerno, aka Un tocco di Zenzero.

Yubari King, il melone più caro del mondo

Il discorso sulla frutta come bene di lusso trova forse nel melone la sua concretizzazione più emblematica. Lo Yubari King, una varietà di melone particolarmente pregiata, può arrivare a superare i 20 mila dollari (il prezzo è sempre al pezzo, non al kilo). Ok, la forma è perfettamente sferica, la buccia piacevolmente reticolata e regolare; ma all’apparenza questo melone non è così diverso da quelli che si trovano in Italia. Chi l’ha assaggiato, però, conferma che il gusto è davvero unico. Se lo Yubari King è la Rolls-Royce dei meloni, sul mercato si trovano versioni decisamente più economiche. Anche perché stiamo parlando del frutto in assoluto il più amato dai giapponesi, che lo consumano come dolce, ma anche insaporitore e ingrediente. Attenzione però: i melon pan, i famosi dolcetti panosi, non sono tradizionalmente preparati con il melone. Si chiamano così perché ricordano il melone di Cantalupo, anche se di recente c’è chi ha usato il melone come ripieno al posto di cioccolato, caramello o crema pasticciera.

Angurie: nera, Densuke e quadrata

Restiamo nel campo della famiglia delle curcubitacee per parlare dell’anguria Densuke, che ha una buccia verde scuro quasi nero e viene coltivata solo a Toma, sull’isola di Hokkaido, la più a nord del Giappone. Inutile dire che il suo prezzo, vista anche la produzione contenuta, è esorbitante, mai inferiore ai 250 dollari per un peso di 8-10 chili. La consistenza è croccante, con pochissimi semi e un sapore molto – ma molto – più dolce rispetto alle angurie a cui siamo abituati. Il premio di anguria più instagrammabile però lo vincono le angurie quadrate giapponesi, il cui prezzo scende (si fa per dire) intorno ai 100 dollari. Sfatiamo subito il mito: non è madre natura a donare loro questa forma geometrica, bensì una specie di gabbia cubica dentro alla quale vengono fatte crescere per essere liberate solo a perfetta maturazione. Lo scopo? Renderle più ergonomiche e quindi più facili da essere riposte in frigo e da tagliare.

Shikuwasa, piccoli agrumi allungavita

Dal macro al micro: gli Shikuwasa sono dei piccoli agrumi originari di Okinawa e Taiwan. In italiano il termine potrebbe essere tradotto con “mangiare aceto” e in effetti il frutto – che da verde diventa giallo quando è completamente maturo –  risulta particolarmente acidulo. Una specie di lime dal diametro di 3-4 cm al massimo. Antinfiammatori e antiossidanti naturali, gli Shikuwasa sono considerati un elisir di lunga vita e in Giappone (così come in Cina e Corea) vengono utilizzati come condimento, per preparare succhi, marmellate e, perché no, a mo’ di decorazione del piatto. Anche la pianta, sia in versione big-size che bonsai, è molto diffusa per uso ornamentale nelle case e nei giardini del Sol Levante.

Kyoho, l’uva gigante

L’uva giapponese, chiamata Budo, ha acini e grappoli grandi, dalla forma tondeggiante. I chicchi sono così brillanti e sodi che quando li guardi ti viene voglia di staccarne subito uno e portarlo alla bocca. La varietà più diffusa è la Kyoho, un’uva gigante viola scuro dalla buccia robusta facile da rimuovere (i giapponesi di norma eliminano la pelle dall’uva, proprio per godersi al massimo la dolcezza dell’acino). Si consuma a fine pasto, alla stregua di un dessert, ma c’è chi la preferisce in versione drink sotto forma di succo di frutta, tè verde aromatizzato e cocktail a base di sake, il Kyoho cobbler.

La fragola albina Hatsukoi no Kaori Ichigo

In Giappone anche i frutti di piccole dimensioni vengono spesso venduti singolarmente. Al mercato come nei reparti ortofrutta delle catene di lusso, troneggiano dentro alle loro mini-confezioni elegantemente incartate, disposte in modo che non prendano colpi né si rovinino. È così, ad esempio, per le fragole, un altro frutto-gioiello che ogni tanto salta agli onori della cronaca perché viene battuto all’asta a prezzi stratosferici. Tra le ultime mode c’è quella di Hatsukoi no Kaori Ichigo (letteralmente “profumo del primo amore”) ovvero la fragola albina: grosse dimensioni, colore bianco sia dentro che fuori e gusto spaziale. Attenzione a non confonderla con la Pineberry, la fragola-ananas: più piccina e dal sentore simile al frutto esotico.

La mela Sekai-Ichi

Segni particolari: è considerata la mela numero uno al mondo. La mela Sekai-Ichi pesa circa un chilo e viene venduta a un prezzo vicino ai 20 dollari che, per gli standard a cui questo articolo ci ha ormai abituato, è tutto sommato accettabile. La tecnica di coltivazione è più che particolare: l’impollinazione delle piante viene fatta dall’uomo utilizzando una specie di bacchetta. Anche le fasi successive sono attentamente (leggi anche maniacalmente) controllate dai produttori fino alla raccolta che, non serve dirlo, è rigorosamente manuale. Poi le mele vengono passate una a una per sincerarsi che siano perfette, senza macchie e del calibro desiderato. Segue un lavaggio con dell’idromele, l’etichettatura e il confezionamento.

Jessica Bordoni

Milanese giramondo, giornalista professionista dal 2015. Scrive di food&wine su varie testate, tra cui Civiltà del bere, Il Giornale e Le Guide di Repubblica.