Com’è essere un giovane agricoltore nell’Italia del 2021

Loris Barbetti ha 29 anni, una laurea in agraria e fa il contadino. Dal 2017 coltiva in biologico un pezzo di terra in affitto vicino a Monteporzio, il comune in provincia di Pesaro dov’è nato. Ha i capelli lunghi e pieni di nodi, è abbronzato da metà marzo a metà novembre, e quando le galline gli vanno a beccare le fragole lui le rincorre per l’orto a piedi scalzi. 

 

Sono un paio d’anni che compro verdure da lui. Ogni volta che lo passo a trovare in azienda mi ci fermo a fare due chiacchiere e ogni volta che ci faccio due chiacchiere mi racconta dell’ultimo accollo che si è trovato tra le mani. Sempre cose nuove e sempre cose che, almeno in un primo momento, non sembrerebbero rientrare tra i tipici problemi che ti aspetti un agricoltore sia chiamato a gestire, nella nostra visione romantica, stereotipizzata e indubbiamente retorica del lavoro del “giovane contadino”. Sindacati, banche, contributi e bandi per raccogliere fondi pubblici. Quella che segue è una breve testimonianza di un giovane agricoltore che lavora in Italia nel 2021, delle rotture di scatole che deve risolvere e delle cose (e persone) che lo hanno aiutato nel suo percorso. 

Com’è essere un giovane agricoltore in Italia

“La prima cosa di cui bisogna prendere atto in questo mestiere è come, nemmeno alla facoltà di Agraria, nessuno si preoccupi di fornirti un’alfabetizzazione burocratica sufficiente. Decidi che vuoi fare il contadino? Ok, però potresti diventare un coltivatore diretto, uno IAP (imprenditore agricolo professionale),o voler fondare una società con delle altre persone. Cosa conviene fare?”.

La risposta è scontata quanto piena di buon senso: “Conviene arrivare con le idee più chiare possibili. Sapere cosa ti piacerebbe coltivare e conoscere il territorio che ti circonda. Serve un progetto con degli obiettivi, o almeno un loro abbozzo: le cose si possono fare anche in divenire, per carità, ma scegliere la struttura organizzativa più adatta alle proprie esigenze è un ottimo modo per evitare di farsi venire il fegato amaro fin dal principio”. 

 

L’accesso al credito è un’altra cosa con cui un neo-agricoltore è molto probabile debba fare i conti da subito. In pratica ci sono due strade: puoi andare a chiedere un prestito in banca o puoi provare a partecipare a qualche bando pubblico per ricevere dei finanziamenti: “Fa ridere, ma l’accesso al credito bancario soffre delle stesse difficoltà che lo caratterizzano in ogni altro settore in cui viene richiesto. In buona sostanza chiedere un prestito per un trattore è come chiederlo per comprare una casa: servono le garanzie. L’anno scorso mi è stato rifiutato dalla banca un prestito che ammontava alla metà di un contributo che avrei ricevuto di lì a poco sul mio conto corrente, presso lo stesso istituto di credito che mi ha negato il prestito. A loro non importava: servivano proprietà da ipotecare”.

In pratica lavori in affitto, perché comprare terreni senza garanzie è quasi impossibile, e poi ti rifiutano i prestiti perché non hai terreni da ipotecare come garanzie.  “E per comprare un trattore bestemmi il doppio e ripieghi su uno che costa la metà” aggiunge Loris. “Coi bandi invece non ci si capisce proprio niente. Non è cattiveria eh, spesso li guardo pure. È che sembrano cose pensate più per gli avvocati che per i contadini. Hai mai letto un bando? Portare a casa un risultato, nella pratica, significa dover dedicare al progetto un numero di ore che è semplicemente ingenuo pensare siano in possesso di chi gestisce anche un’azienda agricola. Sviluppare un business plan, raccogliere la documentazione richiesta, correre per uffici… per alcuni saran pure cose familiari con cui confrontarsi, ma non è detto che lo siano per la maggioranza degli agricoltori. Gli strumenti giuridici restano sulla carta se non si lavora per renderli accessibili ai soggetti destinatari. Anche qui a mancare è un percorso di formazione specifico.”

Cos’è cambiato per i giovani agricoltori

Alcuni meccanismi ben funzionanti ci sono. Ad esempio i giovani agricoltori [gestori di aziende agricole con meno di quarant’anni, per l’Unione Europea l’11% del totale, NdR]  hanno grandi vantaggi sia sul piano fiscale sia su quello contributivo. Quello che però, almeno a me, pare si delinei è uno scenario pervaso da una grande scollatura tra le norme di settore e la realtà pragmatica delle pratiche agricole e dei soggetti coinvolti. 

“La terra è bassa e l’orto vuole l’uomo morto” è un mantra agricolo che i contadini marchigiani ripetono da qualche secolo: “La fatica fisica c’è. Io dormo pochissimo e lavoro quasi tutte le ore della giornata che non dedico al sonno. Questo chi decide di fare il mio lavoro lo mette in conto senza troppe perplessità.” A mancare quindi è anche la possibilità di ricevere una rappresentazione ‘onesta’ del modo in cui il lavoro agricolo contemporaneo è organizzato fuori dal campo. Per qualche millennio la campagna si è quasi del tutto auto-normata sulla base di consuetudini rurali largamente diffuse e condivise e il ricorso a sovrastrutture giuridiche nel settore è sempre stato un dato storicamente contenuto. Una “leggerezza” di sistema che, forse, aveva nei secoli garantito meglio lo svolgimento del lavoro agricolo. Questo ha fatto sì che non esista una grande consapevolezza sulla realtà del lavoro agricolo, né nella vulgata comune, né negli enti, come le banche, con cui i giovani agricoltori si trovano a interfacciarsi.

Più capitali hai da rischiare quando parti, più è facile che tu riesca a raggiungere il risultato che ti eri prefissato; e chi parte avvantaggiato non è detto che sarà anche il più meritevole.  Sembrerà banale: ma secondo me è importante ricordare che la barca su cui sta il/la giovan* contadin* spesso è la stessa di quella dove stanno anche la giovane partita IVA o il/la giovane impiegat*. 

La telefonata che io e Loris abbiamo fatto, e da cui è venuto giù questo pezzo, si è svolta tra le dieci e le undici di sera. Aveva appena finito gli ultimi veri sbattimenti agricoli della giornata, e stava per coricarsi nella roulotte che ha in mezzo al campo che coltiva. D’estate in campagna si lavora meglio quando cala il sole che durante le ore più calde. Vorrei farci una serie, almeno due puntate: “gli accolli del giovane agricoltore”. La prossima volta però non si parlerà aspetti burocratici.