Cocomerina, Signora della Valle del Sinni e Missa della Lessinia: le pere italiane Presidio Slow Food

Pere italiane slow food
Pere italiane slow food

“In Agerola di Napoli le cosiddette Pennate; in Barghe di Brescia le pere tardive dette Curàcc; a Barletta di Bari le pere Favazza; in Bosia di Cuneo le pere Passagrassana; in Campobasso e a Castel Madama di Roma le pere Spadone; in Finale Ligure le pere Agostane Calvisio; in quella benedetta “striscia” che corre da Asti a Roero le pere Madernassa di Govone, di Magliano Alfieri e di Vezza d’Alba; a Palata di Campobasso le pere Moscarelle; in Alto Adige, Termeno le Kaiser e le Alexander”.

 

Nel volume Le parole della terra, sottotitolo Manuale per enodissidenti e gastroribelli (Nuovi Equilibri, 2003), il grande Luigi Veronelli ci dà un’idea della straordinaria varietà di pere che crescono nelle nostre campagne. Ma l’elenco è in realtà molto più lungo e include tipologie decisamente comuni (come ad esempio le Williams o le Abate) e altre rarissime e antiche, come la cosiddetta pera Bugiarda o Malvestita del pero Gnocco.

 

Primaverili, estive, ma anche autunnali e invernali.

Le pere si lasciano addentare tutto l’anno. In generale si può dire che quelle che maturano nei mesi caldi sono più dolci e hanno una consistenza più morbida, mentre le tardive sono dotate di una polpa più dura e un gusto meno zuccherino.

 

Tra le varietà autunnali e invernali, un posto d’onore è occupato dalla Kaiser, una pera di dimensioni contenute, buccia scura e polpa mediamente dura. È piuttosto saporita e ha un’ottima capacità di conservazione. La Conference, di origine britannica, è leggermente allungata con buccia giallo-marrone e si distingue per il retrogusto lievemente acido. Forma allungata anche per l’Abate, che ha buccia giallo-verde con macchie marroni, di buona dolcezza e polpa mediamente soda. E ancora la Rosada, piccola e tondeggiante, con polpa bianca e croccante. Ma l’elenco include anche la Santa Maria, la Coscia, la pera Guyot e la Passa Crassana.

 

Chi cerca una pera gourmet, può affidarsi alle varietà nazionali riconosciute dal Presidio Slow Food, come la pera Cocomerina e la Signora della Valle del Sinni

La pera Cocomerina – anche detta Briaca o Cocomera – è una piccola pera dalla buccia verde coltivata sull’Appennino Cesenate, il cui peso varia tra i 20 e i 60 grammi. Il nome fa riferimento al colore della polpa che, a causa del raccolto tardivo, assume una tonalità rosso intenso, simile a quella dell’anguria. Si tratta di una varietà molto antica, dolce e profumatissima, con note di uva moscato e sorba. Si conserva per poco tempo e va consumata in fretta, poco dopo il momento della raccolta. In alternativa è molto utilizzata per la creazione di marmellate golose. Oggi gli agricoltori della pera Cocomerina sono riuniti in un’associazione omonima per proteggere e valorizzare questa piccola produzione.

 

Ci spostiamo nel Metapontino, in Basilicata. Qui troviamo un’altra pera Presidio Slow Food, per certi aspetti simile alla Cocomerina, la Signora (o signura) della Valle del Sinni. In passato molto diffusa, oggi quasi scomparsa per lasciar posto ad altre colture più produttive. Delicata tanto nel profumo quanto nella consistenza, è una pera piccola (tra i 35 e i 60 grammi) di colore è giallo, con screziature tendenti al rosso e polpa bianca. Anche in questo caso, la capacità di conservazione è limitata e la pera va mangiata fresca o trasformata in marmellate, sciroppi, ma anche essiccata.

 

Nell’elenco dei Presidi Slow Food c’è anche il pero Misso della Lessinia e della Valpolicella.

Si contano in tutto 200 alberi, tra i 500 e i 900 metri di altitudine. Citata già dall’Ottocento, è una particolare varietà di pero veronese: “misso” in dialetto locale indica un frutto sovramaturato, di colore scuro e consistenza un po’ molle. Dopo la raccolta, infatti, questa piccola mela viene sottoposta a un processo di ammezzimento, ovvero fatta maturare in cassette di legno in un luogo asciutto e buio affinché perda acidità e diventi più morbida e dolce.

 

Jessica Bordoni

Milanese giramondo, giornalista professionista dal 2015. Scrive di food&wine su varie testate, tra cui Civiltà del bere, Il Giornale e Le Guide di Repubblica.