La passione per le erbe spontanee della chef Antonietta Santoro

Quello che in inglese si chiama foraging, in italiano potrebbe essere tradotto (molto più poeticamente) con l’arte di andar per campi e boschi alla ricerca di erbe spontanee. Oggi il foraging è diventato una moda, ma c’è chi lo pratica da sempre, rifacendosi alle antiche tradizioni e non certo alle ultime tendenze. È il caso di Antonietta Santoro, vulcanica chef dell’albergo-ristorante “Al becco della civetta” di Castelmezzano, che si dedica con passione alla selezione e alla raccolta di fiori e piante, ma anche frutta e verdura, che poi comporranno il suo menù.

Certo, la natura del luogo è dalla sua parte: Castelmezzano si trova all’interno del Parco regionale di Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane, circa 27 mila ettari a cavallo tra le province di Matera e Potenza, con un patrimonio di vegetazione unico al mondo che spazia dai castagni alle felci, passando per ciclamini, primule, orchidee, anemoni e molte specie endemiche. «Una serie di studi condotti da alcune università europee ha sottolineato come l’età biologica degli abitanti di Castelmezzano sia inferiore rispetto a quella anagrafica proprio grazie a un consumo regolare di erbe spontanee. Da noi raccoglierle è un’abitudine radicata: siamo nati e cresciuti con i loro profumi e i loro sapori, fanno parte del nostro Dna».

 

Ma l’impegno della chef Antonietta Santoro va ben oltre: collabora attivamente con l’Università del Gusto di Pollenzo nell’analisi e nello studio delle erbe di Castelmezzano e organizza corsi e attività per avvicinare i più giovani – e non solo – al mondo del foraging. «La mia è una piccola “food revolution” e in un certo senso la porto avanti più come madre che come chef: ai ragazzi dobbiamo trasmettere la coscienza etica dell’alimentazione, l’importanza di mangiare sano, di comprare dal fruttivendolo e dal contadino anziché nei supermercati della grande distribuzione. Sono convinta del potere curativo del cibo e del recupere di un’alimentazione che mette al centro il consumo di cereali, frutta, verdura, prodotti del bosco e del sottobosco».

 

 

Quella del ristorante “Al becco della civetta” è una cucina di tradizione lucana, che va a spasso con le stagioni. «Le portate cambiano spesso, anche se qualche classico resta sempre in carta, come fave e cicoria. In base al periodo le fave sono secche o fresche, mentre la cicoria è di campo o dell’orto. Questo piatto significa molto per me: è collegato alla memoria di mia madre, che me lo preparava da bambinia mi ha insegnato a cucinarlo». Da citare anche la minestra maritata con i salumi locali, che include numerose varietà di erbe spontanee quali il tarassaco e il finocchietto selvatico. Fiori e foglie si prestano anche alla preparazione di gustose insalatone da condire con olio extra vergine di oliva, senza esagerare con il sale.

 

 

E la frutta? «È un’altra grande fonte di ispirazione, ma è fondamentale raccoglierla al momento giusto, quando ha raggiunto il giusto grado di dolcezza e maturazione». L’elenco è lungo e include pesche, albicocche, fragole, ciliegie, amarene, susine, mele cotogne: tutte rigorosamente di prossimità. Un piatto su tutti? «Di recente ho messo a punto un dolce che ha riscosso molto successo. Si tratta del gelato all’arancia staccia di Tursi candita con fragola Candonga e sponge cake su crumble al cacao. Qui i frutti protagonisti sono due e in entrambi i casi si tratta di eccellenze lucane: da un lato la fragola Candonga, coltivata nella piana del Metapontino, dall’altro l’arancia di Tursi, un comune in provincia di Matera».

Jessica Bordoni

Milanese giramondo, giornalista professionista dal 2015. Scrive di food&wine su varie testate, tra cui Civiltà del bere, Il Giornale e Le Guide di Repubblica.