Dal caffè al tè: la frutta diventa il nuovo playground del gusto

«Il caffè? Si serve con gli agrumi, o in abbinamento con mele, lamponi e così via, a seconda dell’estrazione». Così esordisce un articolo di Lavazza di Mariarosaria Bruno, che racconta l’ascesa del pairing frutta-caffè: un trend che parte dalla colazione con melone e fragole, passa per il fine pasto stellato di Carlo Cracco e Alberto Quadrio, e arriva fino a esperimenti sorprendenti come l’anguria messa sottovuoto con l’espresso. L’idea è semplice e potentissima: la frutta non è più un contorno del caffè, ma una compagna di viaggio che ne esalta aromi e consistenze, trasformando un gesto quotidiano in un piccolo rituale gastronomico.

Se con il caffè la frutta sta vivendo il suo momento di gloria, con il tè il discorso si fa di certo non meno interessante. Perché il tè è sempre stato, fin dalle sue origini, un playground perfetto per la frutta. Solo che spesso ce ne dimentichiamo, pensando al tè come a una bustina da supermercato o a un rituale orientale lontano da noi. In realtà, tè e frutta hanno una storia secolare che oggi torna a parlare anche la lingua della mixology, della cucina contemporanea e perfino della scienza del gusto.

In Giappone, ad esempio, il matcha è da sempre servito con dolci alla frutta: fragole, ciliegie, piccoli frutti che contrastano l’intensità vegetale della polvere verde. In Cina, il tè alla pesca era già bevuto per motivi depurativi secoli fa, molto prima che diventasse un gusto industriale in lattina. Il pairing, insomma, non nasce ora: solo che oggi è diventato un linguaggio condiviso, capace di mescolare tradizione e creatività.

Negli ultimi anni, chef e sommelier lo hanno riportato al centro dell’attenzione. A Parigi, Boris Campanella serviva un gyokuro freddo accanto a lamelle di mela verde e aloe, trattandolo come se fosse uno chablis di razza. Xavier Thuizat, sommelier con un palmarès Michelin, costruisce cerimonie del tè in cui ogni infusione incontra frutta tropicale come mango e yuzu. E in India Ajay Chopra trasforma i tè freddi in cocktail naturali, bilanciando mango, agrumi e pesca in combinazioni che hanno la stessa energia di un mocktail da rooftop bar.

Ma perché questi pairing funzionano così bene? Non è solo una questione di tradizione o estetica, è pura alchemia. L’acidità di un agrume alleggerisce le note tanniche di un tè nero; la dolcezza di una pesca amplifica la morbidezza di un tè bianco; l’aromaticità di frutti come il passion fruit o il lampone va a risuonare con i sentori floreali di un oolong. Il risultato è un dialogo costante: tè e frutta si inseguono e si potenziano, regalando sensazioni che né l’uno né l’altra avrebbero da soli.

In più, c’è l’aspetto salutistico, che oggi non guasta mai. Antiossidanti del tè + vitamine della frutta mettono insieme un cocktail funzionale che ha senso anche per chi guarda al benessere senza rinunciare al piacere. È lo stesso motivo per cui il pairing frutta-caffè descritto da Lavazza ha conquistato anche i salutisti: la combinazione non è solo buona, ma anche “healthy”.

La cucina d’avanguardia sta portando il discorso ancora oltre. Tecniche di gastronomia molecolare permettono di creare sfere gelatinose che esplodono al palato rilasciando tè alla fragola, o caviale di infusione da spargere su una tartare di frutta. Quello che un tempo era un rituale domestico oggi è materia prima per esperimenti spettacolari, degni dei laboratori di Heston Blumenthal.

Insomma, la frutta sta diventando il filo conduttore che unisce mondi solo apparentemente lontani: il caffè di un fine pasto italiano, il tè verde giapponese, la mixology urbana, la pasticceria molecolare. È un ingrediente-passepartout che rende riconoscibili e immediati anche prodotti complessi come il tè e il caffè specialty.

E se Lavazza ha avuto il merito di puntare i riflettori su come mele, lamponi e agrumi possano trasformare l’espresso o il cold brew, il capitolo tè-frutta dimostra che questo trend non è un lampo, ma una vera e propria grammatica del gusto. Una grammatica che ha radici antiche ma che oggi parla la lingua della contemporaneità: stagionalità, estetica, ricerca sensoriale.