Cinque anni fa l’uscita di Tutto il sapore che vuoi (Einaudi, 2019) fece parlare di una “svolta verde” per Antonino Cannavacciuolo. Ma, a distanza di tempo, è chiaro che quella definizione rischiava di semplificare e fraintendere: più che un cambio di rotta, il libro rappresentava una dichiarazione d’identità – un ritorno alle origini contadine e mediterranee, e alla quotidianità familiare.

Lo chiariva già lo stesso chef, nel 2019, rispondendo a una domanda durante la presentazione del volume a Torino: «A quando risale il suo amore per le verdure?». La risposta fu secca: «C’è da sempre. A Napoli di “erba” se ne mangia tanta, e così pomodori, melanzane. Poi mia moglie Cinzia in pratica è vegetariana al 95 per cento. E in Italia è una tradizione».
Una tradizione, appunto. Non una moda. «Ogni volta che si parla di cucina qui da noi, mettiamo di mezzo le radici, la nonna. Ma a casa mia a Napoli, quando ero bambino, il lunedì si mangiava pasta con i broccoli, il martedì parmigiana di melanzane, il mercoledì le cime di rapa e così via. Carne e pesce li vedevi un giorno o due a settimana. Quarant’anni fa si mangiava pochissima carne, poi con la grande distribuzione è stato tutto più facile e capita di mangiare dieci volte carne o pesce la settimana».
Quel libro non era un manifesto ideologico. Era, semmai, l’occasione per esaltare l’anima vegetale della cucina italiana e meridionale. Una creatività meno ovvia, meno codificata, ma altrettanto appagante: «Cucinare la carne è più scontato, codificato. Con la parte verde, vegetale, devi usare più creatività. Uno scampo, un filetto lo metti in padella ed è fatto. Con le verdure ci puoi scherzare, giocare. Poi è un libro colorato, perché alla fine le verdure sono colori».
Il titolo del libro, Tutto il sapore che vuoi, è anche una dichiarazione di principio. «Il sedano rapa, marinato nel latte di capra, prende una nota animale, diventa quasi una carne. Così come il radicchio e la sua nota amara. Il titolo è Tutto il sapore che vuoi perché dalle verdure tiri fuori tutta la tavolozza dei gusti».
Nonostante la pubblicazione di questo libro abbia in parte fatto pensare a un cambio di rotta, Cannavacciuolo è rimasto fedele al proprio approccio. «Mi sono divertito molto a fare questo libro. […] Ogni tanto una grande bistecca o un grande piatto di pesce mi piace mangiarli. Ma sono sempre stato più per le verdure».
Una scelta che tocca anche il piano familiare. «Per i miei figli è diverso. […] Questi ragazzi sono più sensibili. Da bambino io non avevo tutte le attenzioni per gli animali che hanno loro adesso. Ed è un atteggiamento che crescerà sempre di più. Perché questi bambini oggi ci giocano con gli animali e giocandoci ne scoprono la fisicità e l’intelligenza. Scoprono che a molti di loro manca davvero solo la parola. E allora mangiarli diventa difficile».
Oggi, cinque anni dopo, non c’è ancora notizia di una nuova edizione aggiornata del volume, né di un secondo capitolo “vegetale”. Ma quell’esperimento rimane un tassello coerente nel percorso di uno chef che continua a portare in alta cucina l’eredità – semplice, colorata e quotidiana – di una cucina vegetale che è già dentro la tradizione.